Da ormai otto incontri Unica, vivere con il tumore ovarico racconta la vita quotidiana delle pazienti affette da questo tumore ginecologico che, molto spesso, è poco conosciuto. L’ottava puntata è dedicata all’attività fisica, una componente fondamentale del vivere sano, che però non è semplice da inserire (o re-inserire) nella quotidianità delle donne che affrontano un tumore. Quale attività fisica è consigliata per le pazienti? Con che frequenza bisognerebbe svolgere l’esercizio fisico? Quali benefici apporta alle pazienti?
Rispondono a queste domande Marta Buccelli, paziente iscritta ad ACTO Toscana; Viviana Ghizzardi, Presidente dell’Associazione moov-it e Dott.ssa in Scienze Motorie ed Emanuele Naglieri, Responsabile Ambulatorio di Uro-ginecologia, Istituto Tumori di Bari. Il progetto è realizzato da Sics con il contributo non condizionante di Clovis Oncology.
A piccoli passi
“Sappiamo che le donne con carcinoma ovarico sottoposte a intervento chirurgico riducono in modo importante i propri livelli di attività fisica”, dice Naglieri. “È comprensibile: le donne sono indebolite dalla malattia, dalle terapie e riprendere un allenamento risulta obiettivamente difficile. Per questo le linee guida americane suggeriscono di riprendere l’attività fisica ma in maniera molto graduale, con pochi minuti al giorno di esercizio, senza superare un’ora e mezza nell’arco della settimana”.
Trovare la forza per l’esercizio fisico non è semplice. “Durante le terapie non riuscivo proprio a occuparmi del mio fisico. Investivo tutte le energie e le riserve che avevo nel mio spirito, nella mia mente e questo mi ha dato la forza per arrivare alla fine del percorso”, dice Marta. La storia di Marta e del suo tumore è iniziata l’anno scorso, a febbraio 2021, con dei dolori localizzati vicino l’appendice. Un’ecografia, una risonanza e l’analisi dei marcatori hanno portato a un’incertezza sulla diagnosi e poiché per il tumore ovarico non esiste ancora uno screening specifico, Marta si è sottoposta a un intervento di laparoscopia.
“L’operazione si è risolta con una chirurgia radicale. Avevo un adenocarcinoma sieroso di alto grado all’ovaio di destra, accanto all’appendice”.
Ora cerca di ritrovare la voglia e la motivazione di occuparsi del proprio corpo, oltre la stanchezza.
È stato osservato che l’attività fisica (che dovrebbe includere sia esercizi di resistenza sia lo stretching) nelle donne con tumore ovarico migliora l’incidenza dei dolori, la forza e l’energia e lo stato psicologico delle pazienti. “Di recente sono emerse delle evidenze che dimostrano come un’attività fisica regolare in una paziente sottoposta a trattamento chemioterapico possa migliorare il microambiente tumorale e favorire una maggiore risposta immunitaria nei confronti della crescita tumorale”, continua Naglieri.
Un programma di esercizio fisico su misura
L’attività fisica comporta quindi numerosi benefici alle pazienti e dovrebbe essere incoraggiata. L’equipe multidisciplinare richiesta per accompagnare la paziente nel percorso di cura dovrebbe anche includere esperti che guidino la donna verso un programma di esercizio fisico che prenda in considerazione il vissuto della paziente, lo stato patologico e le sue caratteristiche.
“Sono molti gli aspetti da considerare”, nota Ghizzardi. “Come la menopausa indotta precocemente che ha un impatto sul corpo della donna e in particolare sulla densità ossea e quindi può provocare osteoporosi. Quando di fronte a noi c’è una donna giovane dobbiamo sia tenere in considerazione questo rischio (la fragilità ossea), sia cercare di darle la possibilità di svolgere le attività che le piacciono e a cui era abituata prima della malattia”.
In letteratura, osserva Ghizzardi, ci sono delle attività che sono più consigliate di altre come la camminata, il nordic walking, l’andare in bicicletta. Fanno bene al sistema cardiovascolare e aiutano a combattere la perdita di densità ossea e quindi l’osteoporosi.
“Inoltre, come sappiamo bene, quando ci muoviamo, il nostro corpo rilascia una serie di sostanze ormonali che hanno a che ci fanno sentire bene”.
In ascolto del proprio corpo
L’allenamento, continua Ghizzardi, “non serve soltanto per costituire una solidità fisica, ma anche ad aumentare la conoscenza e la consapevolezza del proprio corpo, e questo è fondamentale. Imparare ad ascoltarsi ci dà delle informazioni di primissima mano su come siamo quel giorno e su cosa possiamo fare”. Naturalmente, come osservava Naglieri, l’esercizio deve essere ripreso gradualmente e le donne non saranno necessariamente in grado di tornare ai livelli di attività a cui erano abituati, ma, Ghizzardi sottolinea che la continuità dell’attività è importante, specialmente per chi praticava esercizi che prevedono l’uso della respirazione e il rilassamento, come la meditazione, il Tai Chi, lo yoga.
“La continuità nell’esercizio permette alla paziente di ritrovare le cose che facevano parte della sua vita e che la aiutavano a stare bene e a dedicarsi del tempo. Da un punto di vista psicologico, l’attività fisica crea un ponte tra la paziente (chi era) prima della malattia e la paziente dopo (chi è ora), proprio attraverso le cose che le piacevano fare prima del tumore. Permette alla donna di riappropriarsi del proprio corpo che in un certo senso l’ha “tradita”. Le permette di ricominciare a prendersi cura di quel corpo e a volergli bene”.
Marta concorda. “A volte dimentico quello che mi è successo e vorrei essere come prima, ma questo non è possibile. Devo riprendere le misure e partire da me, dall’ascolto del mio corpo e dal volermi bene”.